
IL LAGO D’AVERNO
Il lago d’Averno, posto tra i rilievi di Monte Grillo, Monte Nuovo e Monte
delle Ginestre, giace all’interno di un cratere vulcanico nato da un grande
eruzione 4000 anni fa. Nel paesaggio vulcanico dei
Campi Flegrei così misterioso e solenne la tradizione ha voluto rintracciare
alcuni dei luoghi visitati da Odisseo nelle sue peregrinazioni. Si pensava che
il lago d’Averno, ancora oggi circondato da ombrose colline che gli danno un
colore cupo e intenso, fosse in comunicazione coi fiumi infernali e che celasse
l’ingresso agli Inferi dove Odisseo evocò le ombre degli eroi defunti. Strabone scrisse che il lago emanava malsane esalazioni che
provocavano la morte degli uccelli in volo e il nome Averno fu fatto derivare
dal greco "aornis" che significa
"senza uccelli". Secondo la tradizione abitava nei pressi del lago un
oracolo dei morti che i pellegrini consultavano dopo rituali preghiere e
sacrifici agli dei infernali, innanzitutto, pare, a Persefone cui l’Averno era
sacro, o ad Hera ctonia. Il ritrovamento a Cuma di un’iscrizione su un disco
bronzeo del VII secolo a.C. documenta l’esistenza nella zona di un oracolo
legato a Hera da collegare al citato oracolo dell’Averno piuttosto che a
quello della Sibilla. Nell’area cumana erano ben distinti in origine l’oracolo
sibillino di Cuma e quello ctonio dell’Averno che solo in seguito la
tradizione ha confuso fino a Virglio che combina la concezione dell’Oltretomba
con la profetica presenza della Sibilla, sacerdotessa di Apollo e di Ecate. Si
credette che il mitico popolo dei Cimmeri abitasse le grotte intorno al lago
dove non penetrava mai la luce del sole. Con la costruzione del Portus Julius Agrippa queste grotte divennero deposito di attrezzi, le selve sacre agli dei
infernali intorno al lago furono distrutte per fornire il legname necessario al
potenziamento della flotta. Fu costruito un canale che metteva in comunicazione
il Lucrino, già collegato al mare, con l’Averno e fu aperta una galleria nel
Monte Grillo che congiungeva l’Averno con Cuma. L’eruzione che creò Monte
Nuovo nel 1538 eliminò il canale tra il Lucrino e l’Averno che restò
nuovamente il più remoto e isolato lago della zona.
VIRGILIO
Virgilio visse a Napoli gran parte del suo tempo e qui volle essere sepolto.
E’ rimasto a tutt’oggi insoluto il problema dell’identificazione della sua
tomba, che la tradizione vuole nel monumento funerario posto presso l’ingresso
della Crypta Neapolitana. La Crypta, nota come Grotta vecchia di Pozzuoli
sulla Via Puteolana, è una galleria di circa 700 m. che attraversa la collina
di Posillipo e collegava fin dall’antichità Napoli e l’area flegrea. Il
sepolcro di Virgilio divenne presto meta di pellegrinaggio; da un’Epistola del
Petrarca si può avere un’idea delle forti suggestioni che il luogo e la
memoria del poeta dovettero ispirare nel ’300. Già nella tarda antichità la
figura di Virgilio si era arricchita di connotazioni nuove esoteriche e magiche.
Per meglio tracciare la formazione e l’evoluzione del mito virgiliano è utile
distinguere quattro elementi. L’elemento romano d’epoca imperiale che
esaltò le grandi virtù poetiche di Virgilio come cantore di Roma e della sua
missione civilizzatrice. L’elemento d’epoca cristiana, il quale colse nelle
opere virgiliane i punti aperti ad un’interpretazione in senso cristiano. L’elemento
di matrice popolare, soprattutto della zona napoletana e flegrea, che colorì il
personaggio con una serie di favole ed aneddoti come quella che gli attribuì la
creazione di Castel dell’Ovo. Da ultimo quello tardo medievale durante il
quale al Virgilio letterato fu accostato il Virgilio oracolare, le cui
conoscenze profonde arrivavano a toccare i segreti più intimi dell’universo.
Nella tarda antichità la figura di Virgilio aveva cominciato ad arricchirsi di
connotazioni esoteriche e magiche. In particolare la quarta egloga, con l’annuncio
di un puer in grado di far sorgere in tutto il mondo l’età dell’oro,
si prestava ad un’interpretazione cristologica. Alle opere di Virgilio fu
attribuita la stessa virtù dei libri sibillini; furono depositate in un gran
numero di templi e nacque la consuetudine di consultarle nelle circostanze
difficili: si aprivano a caso e i versi che cadevano sotto gli occhi servivano
di risposta agli interroganti. Queste consultazioni furono dette sortes
virgilianae e il loro uso si diffuse presso tutti i popoli dell’impero.
Cronologicamente la prima vita virgiliana fu quella di Svetonio di cui restano
solo pochi frammenti. Dobbiamo a Donato (V sec. d.C.) la prima vita virgiliana
nella quale le notizie biografiche si fondono indissolubilmente con le leggende.
La sua nascita fu preceduta da segnali eccezionali: sua madre, prossima al
parto, sognò di generare un ramo di alloro, la pianta sacra ad Apollo, che al
contatto con la terra crebbe all’istante assumendo la forma di un albero
maturo. Si racconta che il bambino appena nato non emise vagiti ma aveva una
straordinaria dolcezza nell’espressione del volto. Inoltre l’albero piantato
nel luogo dove era avvenuto il parto crebbe talmente in fretta da eguagliare in
altezza i pioppi piantati decenni prima. L’albero, detto albero di Virgilio,
pare possedesse un potere magico e taumaturgico per le partorienti che usavano
fare voti agli dei sotto le sue fronde. Nel Medioevo a partire dal XII secolo
Virgilio diventò oggetto di una rinnovata e crescente attenzione da parte della
nuova classe di intellettuali: i chierici. Bernardo di Chartres commenta i primi
sei libri dell’Eneide con il metodo allegorico usato per il racconto biblico
della Genesi. La poesia di Virgilio, sentita come fonte di dottrina, diventa il
simbolo stesso del sapere e il suo stile diventa il canone fissato dagli
scolastici nella cosiddetta rota virgiliana con la distinzione tra stile
umile (Bucoliche), stile mediocre (Georgiche), stile grave (Eneide). Il chierico
guarda al poeta latino come al proprio mitico antenato, come alla guida ideale
per intraprendere la via della conoscenza e della sapienza che conduce alla
verità e a Dio. È per questa via che Dante arriverà a scegliere Virgilio come
"Duca" nel suo meraviglioso viaggio poetico. Attorno al XII secolo
prende vigore un’altra tradizione sorta attorno a Virgilio, quella di Virgilio
mago e protettore di Napoli. Il vescovo di Hildesheim, Corrado di Querfurt in
una lettera del 1196 ad Arnoldo di Lubecca narra che la conquista di Napoli era
stata possibile perché il palladio costruito da Virgilio a sua protezione,
consistente in una bottiglia di cristallo che conteneva un piccolo modello della
città, si era incrinato. La Cronica di Partenope, un testo anonimo del
XIV secolo, contiene molti capitoli dedicati ai prodigi compiuti da Virgilio
mago per proteggere Napoli da svariate calamità naturali. Stando all’anonimo
della Cronica Virgilio avrebbe fatto la celebre mosca di bronzo che
allontanava tutte le altre dalla città e un cavallo "che sanava la
infirmità de li cavalli", aveva allontanato dalla città "il vento
favonio e il molestissimo scirocco", aveva levato dall’acqua "le
sanguesughe" con "una certa sanguesuga d’oro" ecc. ecc. Una
leggenda particolarmente diffusa a Napoli e nota anche all’autore della
Cronica di Partenope fu quella della costruzione ad opera di Virgilio della
Crypta Neapolitana. L’opera di scavo fu compiuta da Virgilio con le sue arti
magiche in una sola notte. Nei racconti popolari è ancora viva la storia dei
libri magici ritrovati accanto al corpo del poeta da un misterioso medico
inglese. Ai tempi di Ruggero il Normanno il medico chiese al re il permesso di
aprire il sepolcro di Virgilio e prendere per studi scientifici quello che vi
era custodito. Il re accondiscese ma l’inquietudine cominciò a circolare tra
la popolazione visto che Virgilio era considerato il protettore della città. Il
sepolcro fu aperto e sotto la testa di Virgilio fu trovato uno scrigno di rame:
dentro ancora in ottime condizioni vi erano i libri con le formule magiche del
poeta mago. La notizia che il medico avrebbe portato via le ossa, lo scrigno e
le formule di Virgilio scatenò la furia popolare, una folla urlante circondò
il luogo ma non riuscì a evitare che il medico trafugasse i preziosi
manoscritti. Le ossa di Virgilio furono invece portate a Castel dell’Ovo, la
fortezza che Virgilio stesso aveva fondato. Per rassicurare i napoletani le ossa
furono esposte dietro una grata per quanti volessero vederle e successivamente
vennero murate.
LA SIBILLA E IL SUO ANTRO
Le Sibille sono senz’altro tra le figure semimitiche più affascinanti dell’antichità
classica. Erano vergini che, ispirate da Apollo, avevano capacità divinatorie;
la parola Sybilla, infatti, per alcuni deriva dalla forma dorica "siós"
(theós, dio) e da quella eolica "bólla" (boulè, consiglio) e
significherebbe donna che dà consigli per ispirazione divina. Si credeva che le
Sibille non fossero soggette al passare del tempo e che vivessero in disparte
senza mostrarsi ai questuanti. Varrone ne contava dieci: la Persica, la Libica,
l’Eritrea, la Samia, la Cumana, l’Ellespontica, la Frigia e la Tiburtina, la
Cimmeria e la Cumana. Alcuni credevano nell’esistenza di un’unica Sibilla
immortale che si spostava da un luogo all’altro. La Sibilla Cumana fu una
delle più note anche perché legata alla leggenda di Enea, il fondatore della
potenza di Roma. Nell’estasi divina la vergine profferiva parole per lo più
sconnesse: chi chiedeva un responso era così tenuto alla difficile operazione
di dare un ordine e un senso ai messaggi "sibillini". La prima
menzione della Sibilla Cumana è in Licofrone, il poeta greco del III sec. a.C.
autore dell’Alessandra. In ambiente latino il culto della Sibilla era
diffuso evidentemente già nel VI sec. a.C. visto che una tradizione attesta che
il re di Roma Tarquinio Prisco acquistò una raccolta di oracoli scritti in
esametro greco su foglie di palma, i cosiddetti Libri Sibillini. Dopo l’acquisto
dei Libri il re ne affidò la custodia a un collegio di due sacerdoti che
salirono a quindici sotto il governo di Silla. Gli oracoli dovevano essere
tenuti segreti e i sacerdoti li consultavano e li interpretavano per incarico
del Senato in casi di estrema necessità. I libri furono dapprima custoditi nel
tempio di Giove Capitolino e in seguito all’incendio del Campidoglio dell’83
a.C. andarono distrutti. Furono ricostituiti poi raccogliendo gli oracoli da
tutta la Grecia e l’Asia Minore e sistemati da Augusto nel tempio di Apollo
sul Palatino. La distruzione definitiva di questi Libri si ebbe nel IV sec. d.C.
ad opera di Stilicone. Virgilio nel Libro VI dell’Eneide fa della Sibilla
Cumana la sacerdotessa di Apollo e la custode dell’Ade. Giunto al tempio d’Apollo
sull’Acropoli di Cuma, Enea viene condotto dalla Sibilla all’interno del
tempio. "Ispirata" dal sacro furore di Apollo la sacerdotessa
mostrerà ad Enea il mondo dell’aldilà e gli profetizzerà il glorioso futuro
di Roma:
At pius Aeneas arces quibus altus Apollo
praesidet horrendaeque procul secreta
Sibyllae,
antrum immane, petit, magnam cui mentem animumque
Delius inspirat vates aperitque futura.
("Ma il pio Enea sale ai colli, su cui alto Apollo domina, ai recessi
profondi dell’orrenda Sibilla, antro selvaggio: cui il grande animo e il cuore
empie il vate di Delo e le apre il futuro" Eneide VI, 9-12).
Dal tempio di Apollo la Sibilla ed Enea passano nell’antro. Dopo varie
ricerche ed interpretazioni sembra ormai accertato che quest’antro aprendosi
dalla parte del mare nella rupe, sulla cui cima stava il tempio, avesse un’entrata
anche dal tempio per mezzo d’un corridoio sotterraneo. Per questo appunto
sarebbero passati i due dopo essere entrati nel tempio.
Excisum Euboicae latus ingens rupis in antrum,
quo lati ducunt aditus centum, ostia centum,
unde ruunt totidem voces, responsa Sibyllae.
Ventum erat ad limen, cum virgo: "Poscere fata
tempus" ait; "deus, ecce deus!...
("Vaneggia il gran fianco dell’euboica montagna in un antro, cui cento
larghi aditi guidano, cento gran porte; di là cento voci precipitano: della
Sibilla i responsi. S’era alla soglia, e la vergine: "Chiedere i fati ora
è tempo!, gridò. Il dio, ecco il dio!..." Eneide VI, 42-46).
La descrizione virgiliana dell’antro della Sibilla è certo suggestiva ed
evocativa ma poco oggettiva. Dobbiamo allo pseudo-Giustino (IV sec. d.C) invece
una descrizione realistica dell’antro mentre Pausania nel II sec. d.C. negò
addirittura l’esistenza di una sede oracolare a Cuma. La poca attendibilità
delle indicazioni letterarie non aiutò molto gli archeologi nella ricerca dell’antro.
Quando nel Medioevo si cercò di trovare la grotta della Sibilla non si poté
prescindere dalla prestigiosa lezione virgiliana. L’antro fu allora
localizzato in alcuni ambienti ancora oggi noti come "Grotta della
Sibilla", presso quel lago d’Averno, da dove Enea e la Sibilla
entrarono nel mondo dell’al di là. Petrarca e Boccaccio, antiquari e studiosi
fino al secolo scorso hanno visitato questa grotta senza dubitare che fosse
proprio la sede della sacerdotessa. La crypta invece ottenuta con un’opera
di scavo nel monte della Ginestra servì a mettere in comunicazione il lago d’Averno
con quello di Lucrino e va inquadrata nell’ambito di quelle trasformazioni
volute da Agrippa, il generale di Augusto per potenziare tutta la zona in vista
della guerra contro Sesto Pompeo. Gli ambienti della grotta hanno subito diversi
mutamenti morfologici anche per il bradisismo ed è difficile risalire al loro
assetto e alla loro funzione originari. La grotta è scavata direttamente nel
tufo, consta essenzialmente di una galleria rettilinea lunga circa m. 200, larga
circa m. 3,50 e alta circa m. 5, ha una volta a botte e un piano di calpestio
venuto meno in più punti per l’accumulo di terreno. Si distinguono gli
ambienti a ovest della crypta, posti su livelli diversi e fra loro collegati da
rampe a gradoni. Dovevano appartenere a una villa privata e vi si accedeva dalla
galleria tramite un cunicolo. La tradizione ha chiamato questi ambienti
"Lavacro della Sibilla": a prescindere infatti dal loro utilizzo
originario, a causa di falde acquifere locali sono stati sicuramente nel
medioevo dei bagni termali. Fu solo all’inizio del ’900 che gli archeologi
cominciarono a cercare l’antro della Sibilla sull’acropoli di Cuma. Con lo
scavo di Maiuri nel 1925 venne alla luce la cosiddetta Crypta Romana che
fu creduta in un primo momento l’antro oracolare. Questa galleria, di circa m.
180, fu scavata al di sotto dell’Acropoli in età augustea per collegare la
città bassa di Cuma con la zona del porto e va messa in relazione con la Grotta
di Cocceio sotto il Monte Grillo con cui si collegava la città bassa di
Cuma con il Portus Iulius. Nel potenziamento generale dell’area flegrea grazie
a queste due gallerie si veniva a creare un facile e strategico collegamento tra
il Portus Iulius e il Porto di Cuma. Si vide che la Crypta non poteva essere il
tanto ricercato antro oracolare. Con la ripresa degli scavi nel 1932 venne alla
luce un nuovo ambiente scavato nel tufo a pianta quadrangolare. Su una parete
era visibile un’apertura a sezione trapezoidale, si scavò in questa direzione
allora e apparve un lungo dromos in tutto rispondente alla descrizione dello
pseudo-Giustino. Il Maiuri poté affermare finalmente che questo era il tanto
ricercato Antro della Sibilla. Ancora oggi quest’identificazione resta
suggestiva anche se il problema della localizzazione del mitico speco sibillino
resta aperto: studi più recenti hanno infatti interpretato la galleria come una
struttura difensiva del V-IV secolo a.C. Il culto della Sibilla così vivo nella
religiosità arcaica decade già nel I sec. d.C. Nel Satyricon di Petronio,
molto probabilmente d’età neroniana, la Sibilla compare come una vecchina
decrepita visto che Apollo le ha donato l’immortalità ma non l’eterna
giovinezza. Ridotta ormai a una specie di ex-voto, chiusa in una bottiglia, la
Sibilla chiede solo di morire, "apotanein thelo" (voglio morire), conferma letteraria del tramonto di un mito, di un’età
e di una cultura, quella classica. Il Cristianesimo in qualche modo recupera le
figure delle sibille che, infatti, furono ritratte nelle chiese cristiane
assieme a santi e profeti.
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