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CARATTERI GENERALI 
IL LAGO DI LUCRINO E L’ERUZIONE DI MONTE NUOVO
GLI ASTRONI - LA SOLFATARA

 

CARATTERI GENERALI

Quando i primi greci approdarono sulla costa campana per fondare Kymae nell’VIII secolo a.C., già poco restava della flora o della fauna primitive, mentre le acque calde, i fiumi, le emanazioni gassose e i vulcani ricordavano più gli Inferi che qualsiasi giardino dell’Eden. Già Omero e Pindaro collocarono qui il sepolcro del gigante Tifeo, il cui corpo in decomposizione emetteva fiamme e odori di zolfo. I Campi Flegrei sono costituiti da un complesso insieme di strutture geologiche, generate da eruzioni relative a più cicli vulcanici. Le rocce più antiche affiorano, ad esempio, alla base del Monte di Cuma e sono rappresentate da colate laviche e prodotti piroclastici di difficile datazione. Lo strato superiore, molto meglio conosciuto, riguarda le formazioni del Piperno, della Breccia Museo, dell’Ignimbrite Campana e risale ad una violentissima eruzione a carattere esplosivo di 35000 anni fa. L’ossatura tufacea dei rilievi collinari napoletani e flegrei si deve al ciclo dei cosiddetti "tufi gialli", risalente all’attività vulcanica di circa 11000 anni fa. Le numerose eruzioni del ciclo recente, da circa 8000 anni fa alla nascita del Monte Nuovo nel 1538 originarono oltre a strati di pomici ceneri i vulcani di Agnano, Astroni, Solfatara, Baia e Averno. Greci e Romani usavano le rocce vulcaniche come materiale da costruzione e i Romani facevano largo uso della "pozzolana" nella malta idraulica. Tutto il territorio flegreo resta ancora oggi in continuo cambiamento per i fenomeni bradisismici e l’incessante attività degli agenti atmosferici. La preistoria dell’area flegrea è difficilmente rintracciabile visto che le continue eruzioni vulcaniche ne hanno sommerso i resti. I resti più antichi si trovano nei villaggi di Monte San Severino, alle spalle di Licola, e di Montagna Spaccata, dietro Pozzuoli. Questi insediamenti risalgono al tardo III e II millennio e appartengono rispettivamente alla cultura neolitica del Gauro e a quella appenninica dell’età del bronzo. Pare che la selvaggina sia stata abbondante e che queste popolazioni abbiano vissuto anche della caccia al cervo. Pare che la linea di costa cumana in epoca preistorica sia stata molto più arretrata e irregolare dell’attuale e che abbia subito grandi trasformazioni a partire dall’VIII secolo a.C., il periodo della colonizzazione greca. Il tiranno cumano Aristodemo nel V secolo a.C. con opere di drenaggio trasformò le lagune di questa zona in bacini lacustri. Verso la fine del I millennio a.C. i laghi di Licola e Fusaro si trasformarono di nuovo in lagune ma nel I secolo d.C. c’era nuovamente il lago di Licola grazie anche a dei nuovi interventi di bonifica. Nel I secolo d.C. il porto di Cuma si trovava con tutta probabilità nell’area ormai insabbiata a sud-ovest dell’acropoli. Il tratto di costa da Baia a Pozzuoli è caratterizzato invece dal fenomeno del bradisismo. I resti del Macellum d’età romana, il cosiddetto Serapeo, ne sono oggi il simbolo e la prova: le sue colonne erose e perforate da molluschi marini indicano che in età medioevale il livello del mare era circa sei metri superiore a quello d’età romana. Quest’abbassamento della costa sembra essersi verificato tra la metà del VI e l’VIII secolo d.C. e ha portato alla sommersione di una notevole parte della zona residenziale di Baia e di quella portuale di Pozzuoli: un’immersione a pochi metri di profondità sott’acqua può ancora oggi farne ammirare i resti. Per quanto riguarda il clima si sa che in epoca classica non dovette essere molto diverso dall’attuale ma tra il 400 e il 750 d.C. vi fu un notevole abbassamento di temperatura. L’area intorno al lago d’Averno, stando al geografo greco Strabone, era fittamente alberata. Il disboscamento della zona fu voluto nel I sec. d.C. da Agrippa, il luogotenente di Augusto, nel suo piano di potenziamento della flotta e della zona portuale in previsione della guerra contro Antonio che invece poi si combatté ad Anzio. Quest’area fu coltivata allora con cereali, viti e ulivi mentre quella cumana produceva mele, cavoli, cipolle e lino. In epoca tardo imperiale e altomedievale vi fu un generale impoverimento dell’agricoltura nell’area flegrea per il disboscamento delle pendici e la conseguente erosione del suolo, per il progressivo spopolamento delle campagne e per il cambiamento del sistema agrario da intensivo a estensivo.

IL LAGO DI LUCRINO E L’ERUZIONE DI MONTE NUOVO

Il mito vuole che sia stato Eracle a creare l’istmo che separava il lago di Lucrino dal mare nel trasportare i buoi di Gerione dall’isola Eritea, nell’oceano, in Grecia; in memoria del mitico eroe la strada costruita su questa striscia di terra fu chiamata Via Heraclea. Il taglio dell’istmo fu effettuato probabilmente dall’architetto Cocceio intorno al 37 a.C. Il lago in origine occupava una superficie molto più ampia che andava da Punta dell’Epitaffio a Punta Caruso. Sul finire del I sec. a.C. un canale navigabile mise in comunicazione il lago di Lucrino col lago d’Averno. Intorno al 100 a.C. Lucio Sergio Orata vi impiantò allevamenti intensivi di pesci, frutti di mare e ostriche che godettero di grande fama in tutto il mondo romano. La bellezza e la ricchezza del lago, con i suoi colli verdi intorno, le terme naturali vicine, la sua pescosità, ne fecero un’attrazione e una meta ambita per la classe dirigente romana: sulle sue sponde si costruirono splendide ville come, ad esempio, quella di Cicerone. L’attività sismica del sottosuolo mutò radicalmente la geografia del luogo. Intorno al X secolo il suolo si abbassò notevolmente, il lago fu del tutto sommerso dal mare insieme alle lussuose ville che lo costeggiavano e la linea di costa arretrò fino alle sponde del più interno lago d’Averno. Nei secoli successivi notevoli movimenti tellurici portarono alla riemersione del tratto di costa e all’eruzione che creò Monte Nuovo. Le cronache raccontano che l’eruzione avvenne nella notte tra il 29 e il 30 settembre 1538. La zona di Tripergole col suo villaggio, e le terme che l’avevano resa famosa sprofondò e scomparve completamente. Si aprì una voragine da cui eruttarono pietre e lapilli che in tre giorni formarono quella collina cui si diede il nome di Monte Nuovo. L’eruzione ridusse notevolmente l’estensione dell’antico lago Lucrino: la sua parte orientale, allora ancora coperta dal mare, si riempì di materiale eruttivo. L’attuale lago di Lucrino si è formato solo alla fine del XVII secolo.

GLI ASTRONI

Il cratere degli Astroni fu usato come riserva reale di caccia e oggi è un’oasi naturale. Il vulcano è situato nell’area centro-orientale dei Campi Flegrei, occupa una superficie di circa 247 ettari ed ha una forma ellittica. Il suo interno presenta alcuni rilievi: il Colle dell’Imperatrice, La Rotondella e I Pagliaroni. Una delle peculiarità degli Astroni è la cosiddetta inversione vegetale, ovvero l’anomala distribuzione delle fasce di vegetazione all’interno del cratere. Qui si notano infatti specie della macchia mediterranea: il leccio, con un fitto bosco, il corbezzolo, l’ailanto e specie tipiche del piano submontano: il castagno, l’olmo, il carpino. Nel fondo del cratere c’è un’area occupata da un canneto e da specchi d’acqua, il Lago Grande. Qui la vegetazione presenta specie ormai scomparse da tanto nei Campi Flegrei come l’orchidea, il giglio, i fiori d’arancio. Sulla superficie delle acque è notevole la presenza della Nimphaea alba con i suoi splendidi fiori bianchi.

LA SOLFATARA

Il vulcano della Solfatara si deve ad un attività vulcanica di circa 4000 anni fa e offre ancora oggi splendidi esempi di attività vulcanica con fumarole e tremori sismici. Il suolo del cratere, di materiale argilloso-siliceo, ha un colore biancastro. Nella parte centrale, di caldo fango color grigio, il gas sale alla superficie in una continua ebollizione e i vapori si spandono nell’aria in continue esalazioni. Le pareti del vulcano presentano materiali detritici franati alla base di colore rosso-bruno e le piroclastiti incoerenti delle eruzioni nella parte più alta. Il vulcano è tenuto sotto stretta sorveglianza da vulcanologi, geologi ed esperti già dall’età borbonica come testimonia ancora l’Osservatorio dell’epoca, oggi recintato perché fatiscente. Intorno alle numerose bocche delle fumarole si notano rocce piroclastitiche e splendidi cristalli di zolfo di colore giallo.